San Giovanni della CroceSAN GIOVANNI DELLA CROCE (1542-1591) Dottore della Chiesa, SALITA DEL MONTE CARMELO, alcune selezioni del secondo libro
Al buio uscii e sicura, per la segreta scala, travestita, - oh felice ventura! -al buio e ben celata, stando già la mia casa addormentata.
1- In questa seconda strofa l’anima canta la sorte felice che ha avuto di liberare lo spirito da ogni imperfezione e da ogni desiderio di possedere beni spirituali. Ella stima questa sorte migliore della precedente, perché maggiore è stata la difficoltà per addormentare la casa della parte spirituale ed entrare in questa oscurità interiore, che consiste nello spogliarsi spiritualmente di tutti i beni, sensibili e spirituali, appoggiandosi unicamente sulla pura fede e salendo per essa a Dio. Questa virtù viene chiamata scala segreta perché tutti i gradi e gli articoli che essa comprende sono segreti e nascosti al senso e all’intelletto. L’anima dunque, resta all’oscuro completamente, abbandonando ogni lume della natura e della ragione perché vuole salire per questa divina scala della fede che ascende e penetra fino alla profondità di Dio. Perciò dice che camminava travestita perché, salendo per mezzo della fede, ella ha cambiato in divino l’abito e il portamento umano. A causa di questo travestimento ella non fu riconosciuta e trattenuta né dai beni temporali, né da quelli razionali, né dal demonio perché nessuno di questi ostacoli può arrecar danno a colui che cammina in fede.
Ma c’è qualcosa di più, poiché l’anima procede tanto coperta, nascosta ed esente dagli inganni del demonio da camminare veramente, secondo quanto ella dice in questo luogo, al buio e di nascosto, perché per il maligno la luce della fede è più che tenebre. Possiamo dunque conchiudere che l’anima, la quale procede per questa via, procede al buio e di nascosto al demonio, come si vedrà più chiaramente in seguito.
2 - Essa afferma di essere uscita al buio e sicura; colui infatti che ha la bella sorte di poter camminare in mezzo all’oscurità della fede, prendendola per guida come un cieco, liberandosi da tutti i fantasmi naturali e da tutti i ragionamenti spirituali, procede con molta sicurezza. L’anima aggiunge di essere uscita per questa notte dello spirito allorché la sua casa, eioè la parte spirituale e razionale, era già addormentata poiché, quando giunge all’unione con Dio, ella ha già posto in riposo le sue potenze naturali e gli impèti e le ansie del senso nella parte spirituale. Perciò qui ella non dice che uscì con ansia, come nella prima notte del senso; infatti per entrare in questa e spogliarsi una buona volta di ciò che appartiene al senso, le erano necessarie ansie di amore sensibile; mentre per addormentare la casa dello spirito si richiede solo la mortificazione in pura fede di tutte le potenze, di tutti i gusti e di tutti gli appetiti spirituali. Compiuto questo lavoro, l’anima si congiunge con l’Amato in unione di semplicità, di purezza, di amore e di somiglianza.
3 - Bisogna notare che nella prima strofa, parlando della parte sensitiva, si dice che l’anima uscì nella notte oscura; qui invece, dove si tratta della parte spirituale, si afferma che ella uscì nel buio. Invero le tenebre dello spirito sono maggiori di quelle del senso, come il buio è più tenebroso della notte, perché di notte, per quanto fonda essa sia, si può sempre vedere qualche cosa, mentre se è buio non si scorge niente. Nella notte del senso resta un po’ di luce perché rimangono, senza essere accecati, l’intelletto e la ragione, mentre la notte dello spirito, cioè la fede, priva di tutto, sia nell’intelletto che nel senso. Per questa ragione l’anima in questa notte, cosa che non faceva nell’altra, afferma di camminare al buio e sicura poiché quanto meno opera usando delle sue facoltà naturali tanto più cammina sicura, perché procede in fede. Di ciò parlerò per esteso in questo secondo libro; ma bisogna che il devoto lettore mi segua con attenzione perché dirò cose molto importanti per chi possiede il vero spirito. E, sebbene alcune di esse siano un po’ oscure, tuttavia sono certo che la conoscenza di una aprirà la via alla comprensione delle altre e in tal maniera egli capirà tutto.

CAPLTOLO 11
Si parla dell’impedimento e del danno che vi possono essere nelle percezioni dell’intelletto per mezzo di ciò che soprannaturalmente si rappresenta ai sensi esterni e si tratta del modo in cui l’anima deve comportarsi.
I - Al primo gruppo di notizie, di cui ho trattato nel capitolo precedente, appartengono quelle che l’intelletto riceve per via naturale. Poiché ne ho parlato nel primo libro, dove indirizzavo l’anima nella notte del senso, ora non ne farò parola, avendo là esposta una dottrina conveniente intorno ad esse. Perciò in questo capitolo mi occuperò soltanto delle apprensioni soprannaturali che l’intelletto riceve attraverso i sensi esterni, vista udito odorato gusto e tatto, intorno ai quali possono e sogliono nascere nelle persone spirituali immagini e oggetti soprannaturali. Circa la vista sogliono presentarsi loro figure e personaggi dell’altra vita, sembianti di santi e di angeli, buoni e cattivi, luci e splendori straordinari. Con l’udito possono percepire parole strane, ora pronunziate dalle figure loro apparse, ora senza vedere chi le proferisce. Con l’odorato avvertono talvolta odori soavissimi, senza sapere di dove provengano. Accade che anche con il gusto possono percepire qualche sapore molto piacevole e con il tatto un diletto che talvolta è cosi grande da sembrare che tutte le midolla e le ossa esultino e fioriscano e nuotino nel piacere. Tale è la così detta unzione dello spirito che da questo si diffonde nelle membra delle anime pure. Nelle persone spirituali è molto comune questo gusto sensibile il quale deriva in loro dall’affetto e dalla devozione sensibile dello spirito, in maggiore o minore abbondanza, a seconda della capacità di ciascuna di esse.
2 - Si deve dunque ricordare che, sebbene tutti questi fenomeni possano accadere nei sensi per opera divina, l’anima non deve mai ritenersi sicura ed ammetterli; deve anzi assolutamente rifuggire da essi senza volere esaminarli se siano buoni o cattivi, poiché quanto più sono esteriori e corporei, tanto maggiore è il dubbio che essi provengano da Dio. Questo infatti ordinariamente e con maggior convenienza preferisce manifestarsi allo spirito, in cui v’è più sicurezza e più profitto per l’anima, che al senso, nel quale v’è in generale grande pericolo d’inganno, in quanto che il senso corporeo si fa giudice ed estimatore delle cose spirituali, pensando che esse siano così come egli le percepisce, mentre sono tanto diverse come lo sono il corpo dall’anima e la sensibibità dalla ragione. L’ignoranza del senso nei confronti delle cose della spirito è uguale e anche superiore a quella di un giumenta circa le cose razionali.
3 - Colui dunque che fa stima di queste cose erra molto e si espone al grande pericolo di essere ingannato o per lo meno, troverà in sé un grave impedimento a passare nella via dello spirito, perché tutte queste notizie corporee, come ho detto, non hanno alcuna proporzione con quelle spirituali. Perciò si deve sempre ritenere come cosa più probabile che tali notizie più che da Dio provengano dal demonio, il quale ha maggiore possibilità di agire e di tessere inganni in ciò che è esterno e corporeo che in quello che è interno e spirituale.
4 - Questi oggetti e queste forme corporee quanto più sono in sé esteriori, tanto meno giovano all’interiore e allo spirito, a causa della grande differenza e della sproporzione che vi è fra lo spirituale e il corporeo. Infatti, quantunque da queste immagini sensibili venga camunicata qualche cosa di spirituale, come sempre avviene quando esse provengono da Dio, tuttavia ciò è molto inferiore a quella che sarebbe se le stesse cose fossero più spirituali e interiori. In tal modo sono causa di errore, presunzione e vanità nell’anima poiché, essendo tanto palpabili e materiali, muovono molto il senso e così, proprio perché più sensibili, sembrano a quella qualcosa di grande. Perciò l’anima va dietro a loro, abbandonando la fede e credendo che quella luce sia la guida e il mezzo per raggiungere la mèta, cioè l’unione con Dio; invece quanto più ella fa conto di tali cose, tanto più smarrisce la vera via e il mezzo sicuro, che è la fede.
5 - Inoltre l’anima, appena si accorge che le accadono tali fenomeni straordinari, sente spesso nascere segretamente una certa opinione di sé credendo di esser qualcosa davanti a Dio, il che è contrario all’umiltà. Il demonio poi, da parte sua, riesce a far sorgere in essa un’occulta soddisfazione di sé, che talvolta diventa assai manifesta. A tale scopo egli presenta frequenternente ai sensi questi aggetti, mostrando alla vista figure di santi e bellissimi splendori, facendo risonare all'udito parole ingannatrici, presentando all’olfatto odori molto soavi, facendo assaporare al gusto dolcezze e diletto al tatto: con questi mezzi adesca i sensi per indurli al male. E dunque necessario rigettare sempre queste immagini e questi sentimenti poiché, dato il caso che qualcuna di esse provenga da Dio, agendo così non si fa oltraggio a Lui né si lascia di conseguire l’effetto e il frutto che per mezzo di tali fenomeni Egli vuole produrre nelle anime, anche se queste li disprezzano e non li cercano.
6 La ragione di ciò va ricercata nel fatto che la visione corporea e la percezione di ogni altro senso, come del resto ogni altra comunicazione fra le più interne, se provengono da Dio, producono il loro effetto nello spirito nello stesso tempo in cui avvengono, senza dar possibiltà all’anima di deliberare se volerle o no. Dio infatti, come le concede quei favori in maniera soprannaturale, senza che ella ponga in atto la propria capacità e diligenza, allo stesso modo produce l’effetto che Egli vuole operare con tali grazie poiché queste avvengono e si compiono passivamente nello spirito. Perciò non giova per niente alla loro realizzazione o meno, desiderare o no tali cose, come per nulla gioverebbe il desiderio di non bruciarsi alla persona nuda contro la quale fosse stato gettato del fuoco che necessariamente produrrebbe il suo effetto. Lo stesso accade con le visioni e le appariziani buone, le quali prima di tutto e in modo speciale non produrranno il loro effetto nel corpo, ma nell’anima, sebbene questa non ne voglia. Anche quelle che provengono dal demonio, senza che l’anima le desideri, producono in lei turbamento o aridità, vanità o presunzione di spirito. Esse però non hanno tanta efficacia nel male, come quelle divine l’hanno nel bene, poiché possono generare nella volontà i primi movimenti, ma non muoverla ulteriormente se ella vi si oppone. Possono inoltre causare un po’ di inquietudine che però non dura molto se il poco coraggio e la poca prudenza dell’anima non ne facciano aumentare la durata. Al contrario, le visioni e le rivelaziani che vengono da Dio penetrano nell’anima, spingono la volontà ad amare e producono il loro effetto a cui l’anima, pur volendolo, non può resistere più di quanto una vetrata non possa opporsi al raggio di sole dal quale è colpita.
7- Pertanto l’anima non si azzardi ad ammettere tali favori, quantunque siano divini, perche, se li accetta, va incontro a sei inconvenienti. In primo luogo le va diminuendo la fede, perché ciò che si sperimenta con i sensi toglie forza a quella virtù poiché, come ho già detto, essa è al di sopra di ogni senso. Perciò l’anima, non chiudendo gli occhi a tutte queste cose sensibili, si allontana dall’unico mezzo dell’unione con Dio. Il secondo inconveniente consiste nel fatto che tali favori, se non si rifiutano, sono d’impedimento allo spirito, perché l’anima si indugia in essi e quello non vola verso l’invisibile. Questa fu una delle cause per cui Gesù disse ai discepoli essere necessario che Egli se ne andasse perche potesse venire lo Spirito Santo; per lo stesso motivo, cioè perché ella si fondasse sulla fede, o lo stesso Nostro Signore, dopo la Resurrezione, non permise che Maria Maddalena gli toccasse i piedi. Il terzo è che l’anima va nutrendo lo spirito di proprietà in tali manifestaziani soprannaturali e non si incammina verso la vera rinuncia e nudità di spirito. Il quarto sta in ciò che a poco a poco ella perde per l’effetto prodotto da questi fenomeni e la devozione che essi producono nell’intimo, perché pone gli occhi su quanto vi è di sensibile in loro, cioè sull’elemento meno importante. E così ella non riceve in tanta copia di spirito che essi producono, il quale tanto più si imprime e si conserva se rinneghiamo tutto ciò che vi è di sensibile, che è molto diverso dal puro spirito. Il quinto è quello di perdere insensibilmente le grazie di Dio, perché l’anima le riceve con spirito di possesso e non sa trarne profitto. E prenderle con spirito di possesso e non trarne profitto, equivale a desiderare di riceverle, poiché Dio non le dà all’anima affinché ella desideri di averle; ella anzi non si deve risolvere a credere che esse provengano da Dio. Il sesto inconveniente è che l’anima, volendo ammetterle, apre la porta al demonio perché la inganni con altre simili che egli sa mascherare e camuffare così bene da farle sembrare buone poiché, come dice l’Apostolo, quello può trasformarsi in angelo di luce (2 Cor. II, 4). Col favore di Dio, parlerò di ciò nel bibro III, nel capitolo dedicato alla gola spirituale. 8 - Pertanto è necessario che l’anima rigetti a occhi chiusi tutti questi fenomeni, da qualunque parte essi provengano. Se non facesse così, ella porgerebbe l’occasione al demonio di ingannarla e lo aiuterebbe in maniera tale da ricevere insieme con i favori divini, anche le illusioni diabobiche, le quali anzi si moltiplicherebbero mentre gli altri diminuirebbero; così ella giungerebbe al punto in cui avrebbe tutto del diavolo e niente di Dio. Così accadde a un gran numero di anime imprudenti e poco sagge, le quali, ricevendo tali grazie, Si credettero tanto sicure che molte di esse dovettero impiegare grande fatica per ritornare a Dio in purità di fede e parecchie non poterono ritornarvi perché ormai il demonio aveva gettato in esse molte radici. Perciò è necessario chiudere loro il cuore e rifiutarle tutte; ciò facendo, nelle cattive si eludono gli inganni del demonio, nelle buone si evita l’impedimento alla fede e lo spirito ne coglie il frutto. Come se si accettano volentieri, Dio toglie tali grazie, perché l’anima nutre dell’attacco per queste, senza ricavarne generalrnente alcun vantaggio, mentre il demonio insinua e aumenta le sue, perché trova luogo e libero accesso per esse, così, se l’anima è umile e contraria a questi favori, il demonio, accorgendosi di non arrecarle danno, desiste dalla sua opera. Dio invece moltiplica e accresce le sue grazie in quell’anima umile e spoglia di tutto, facendola padrona di molti beni, come avvenne al servo rimasto fedele nel poco (Mt. 25, 21-23).
9 - Se in questi favori l’anima continuerà ad essere fedele e distaccata, Dio nan si arresterà finché di grado in grado non l’avrà elevata sino all’unione e trasformazione divina. Infatti Nostro Signore prova e innalza l’anima in modo tale che prima le concede grazie molto esteriori e ordinarie, conforme alla di lei poca capacità, poi, se essa si comporta come deve prendendo quei primi bocconi con sobrietà per rinforzarsi e sostenersi, Egli la eleva ad un cibo più abbondante e più sostanzioso. In tal mado l’anima, qualora vinca il demonio nel primo grado, passerà al secondo; se riuscirà vittoriosa anche in questo, passerà al terzo e così via per tutte e sette le mansioni che sono i sette gradi di amore, fino a che lo Sposo non la introdurrà nella cella vinaria (Cant. 2, 4) della sua perfetta carità.
10- Felice l’anima che saprà lottare contro la bestia dell’Apocalisse (12, 3) che ha sette teste, contrarie ai sette gradi di amore, con le quali fa guerra a ciascuno di questi e combatte con l’anima in ognuna delle sette mansioni in cui ella si esercita guadagnando progressivamente tutti i gradi dell’amore di Dio. Se in ogni dimora ella combatterà fedelmente restandone vittoriosa, senza dubbio meriterà di passare di grado in grado e di mansione in mansione fino all’ultima, dopo avere mozzato le sette teste con le quali la bestia le faceva una guerra tanto spietata da far dire a San Giovanni nel luogo citato (Apoc. 13. 7) che le fu concesso di lottare centro i Santi e di poterli vincere in ognuno di questi gradi di amore, adoperando contro ciascuno armi e munizioni sufficienti. Perciò è cosa assai dolorosa che molti, i quali entrano in queste battaglie spirituali contro la bestia, non abbiano neppure il coraggio di tagliare la prima testa, rinunziando ai beni sensibili del mondo. Alcuni poi, sebbene si decidano finalmente a tagliare la prima testa, non mozzano la seconda, non rigettano cioè le percezioni del senso di cui sto parlando. Ma ciò che addolora maggiormente è il constatare come altri, dopo avere tagliata non solo la prima e la seconda, ma anche la terza testa, in cui sono simboleggiate le percezioni dei sensi interni, oltrepassando lo stato di meditazione e spingendosi molto più avanti, al momento di entrare nel puro dello spirito, si lasciano vincere da questa bestia spirituale, che torna a levarsi contro di loro e fa risuscitare perfino la prima testa. E poiché essa prende seco sette spiriti peggiori di lei, lo stato dell’anima, a causa della ricaduta, sarà peggiore di quella precedente.
11 - L’anima dunque deve rinnegare tutte le apprensioni e tutti i diletti temporali dei sensi esterni, se vuole troncare la prima e la seconda testa alla bestia, entrando nella prima stanza dell’amore e nella seconda della viva fede, senza volersi legare e imbarazzare con ciò che si presenta ai sensi, perché ciò nuoce più di ogni altra cosa alla fede.
12 - Dunque e chiaro che tali visioni e perceziani sensibii non possono essere mezzo per l’unione, perché non hanno alcuna proporzione con Dio. Questa era una delle cause per cui Gesù Cristo non volle che la Maddabena e S. Tommaso (Gv. 20, 17-29) lo toccassero. Perciò il demonio è molto soddisfatto allorché un’anima desidera ricevere rivelazioni o sente inclinazione per esse, poiché in tal caso gli si offrono molte accasioni e possibilità di insinuare errori e di distruggere in lei la fede. Infatti, come ho detto, grande grossolanità nei confronti di questa virtù e talvolta pesanti pastoie e terribili tentazioni sorgono nell’anima che desidera tali favori.

LIBRO 2 - CAPITOLO 16
2 - E da notare che con il termine di visioni immaginarie intendo indicare tutto quanto può rappresentarsi soprannaturalmente all’immaginazione, rivestito di immagini, di forme, di figure e di specie. Infatti tutte le apprensioni e le specie che, per via naturale, i cinque sensi corporei producono nell’anima, in cui trovano la loro sede, possono essere generate e trovare il loro posto in essa anche per via soprannaturale, senza cioè che i sensi esterni vi concorrano. Infatti la fantasia, congiunta alla memoria, è come un archivio e ricettacolo dell’intelletto in cui vengono accolte tutte le forme e immagini intelligibili. Essa inoltre, come uno specchio, le conserva dopo averle avute per mezzo dei sensi esterni o con un processo soprannaturale, per presentarle poi all’intelletto che riflette su di esse e di esse giudica. La fantasia poi può fare ancora di più, perché può elaborare e formare altre immagini simili a quelle che già conosce.
3 - È bene ricordare che come i cinque sensi esterni presentano le immagini e le specie dei propri oggetti a quelli interni, cosi Dio e il demonio, secondo quanto è stato detto, possono presentare loro soprannaturalmente, cioè senza l’aiuto dei sensi esterni, queste stesse immagini e specie e altre molto più belle e più perfette. Perciò Dio, servendosi di esse, spesso presenta all’anima molte verità e le comunica molta sapienza, come si legge in ogni pagina della Sacra Scrittura. Così Isaia vide il Signore in trono circondato dal fumo che copriva il tempio e dai Serafini i quali si nascondevano il volto e i piedi con le ali (6, 2); Geremia vide la verga che vegliava (1,11) e Daniele ebbe molte altre visioni (7, 10).
Anche il demonio cerca di ingannare le anime con le sue manifestazioni apparentemente buone, come si può vedere nel libro terzo dei Re (22, I I-23), dove si legge che egli trasse in inganno tutti di profeti di Acab, mostrando alla loro immaginazione le corna con cui volle far credere. ma era una menzogna, che gli Assiri sarebbero stati distrutti. Si possono aggiungere le visioni avute dalla moglie di Pilato (Mt. 27, 19) per impedire la condanna del Cristo e molte altre apparizioni dalle quali risulta come, nello specchio della fantasia, ai proficienti, quelle immaginarie si verifichino con maggiore frequenza di quelle corporee esterne. Sotto l’aspetto di immagini e specie le visioni immaginarie non si differenziano da quelle che provengono dai sensi esterni; ma sono invece molto diverse per l’effetto che producono e per la perfezione di cui sono dotate, essendo più sottili e più interne delle altre perché soprannaturali e più intime di quelle soprannaturali esterne. Tuttavia con ciò non si vuol negare che qualche visione corporea esterna possa produrre un effetto maggiore, ché, in fondo, l’intensità della comunicazione dipende dalla volontà di Dio; voglio soltanto dire che le interne, prese in se stesse, producono effetti maggiori perché più spirituali.
4 - Verso l’immaginazione e la fantasia ordinariamente si dirige il demonio con i suoi inganni, naturali e soprannaturali, perchè esse sono la porta d'ingresso dell’anima e ad esse, secondo quanto ho detto, come ad un porto o ad un mercato, ricorre l’intelletto per fare le sue provviste. Per questo Dio e anche il demonio si affrettano verso di loro, per offrire all’intelletto le pietre preziose delle loro immagini e forme soprannaturali, quantunque Nostro Signore per ammaestrare l’anima non usi soltanto questo mezzo ma, dimorando sostanzialmente in lei, può far ciò da sé o servendosi di altri mezzi.
5 - Non v’è ragione che io mi dilunghi ora a parlare dei segni necessari per distinguere le visioni che provengono da Dio da quelle che provengono dal demonio e i modi diversi in cui esse avvengono. Mio unico scopo è quello di ammaestrare l’intelletto, affinché, nelle buone, non trovi un impedimento e un ostacolo all’unione con la Sapienza divina e, nelle cattive, qualche inganno.
6 - Dico dunque che l’intelletto non deve ingombrarsi e nutrirsi con tutte queste apprensioni e visioni immaginarie e con altre forme e specie, di qualunque genere siano, allorché esse gli si offrono sotto l’aspetto di forme, di immagini o di qualche conoscenza particolare, siano false perché da parte del demonio, sia che si riconoscano vere perché da parte di Dio. L’anima poi non le ammetta né le ritenga, onde possa rimanere distaccata e nuda, pura e semplice, senza modo alcuno di percezione, come si richiede per l’unione.
7 - La ragione di ciò va ricercata nel fatto che tutte queste forme, secondo quanto è stato detto, nel momento in cui vengono apprese si rappresentano sempre sotto qualche maniera e modo limitato, mentre la sapienza divina, alla quale l’intelletto deve unirsi, non ha modo e maniera, né cade sotto il dominio del limite e della cognizione distinta e particolare, perché è completamente pura e semplice. Se è necessario che due estremi, quali sono l’anima e la sapienza increata, perché si possano unire, debbano avere in comune qualche mezzo di somiglianza, è chiaro che l’anima, nel caso presente, deve essere pura e semplice, non limitata e attaccata a nessuna conoscenza particolare, né modificata da alcuna circoscrizione di forma, di specie e di immagine. Dio non cade sotto il dominio di una una immagine o di una forma, né è contenuto da una cognizione particolare; perciò l’anima, per unirsi a Lui, non deve cadere sotto una forma o una conoscenza distinta.
8 - Che in Dio non vi sia forma né somiglianza alcuna lo fa ben capire lo Spirito Santo, quando dice nel Deuteronomio (4, 12): Vocem verborum eius audistis, et formam penitus non vidistis - Udiste il suono delle sue parole, ma non vedeste per niente alcuna forma in Dio. Soggiunge poi che sul monte Oreb vi erano tenebre, nubi e oscurità, simbolo della notizia confusa e oscura della quale ho parlato, in cui l’anima si unisce con Dio. Più avanti ancora dice Non vidistis aliquam similitudinem in die, qua locutus est vobis Dominus in Horeb de medio ignis (4, 15), che, tradotto, vuol dire: Voi non vedeste in Dio nessuna somiglianza il giorno in cui Egli vi parlò, di mezzo al fuoco, sul monte Horeb.
9 - Inoltre, volendo affermare che l’anima, servendosi di forme e figure, non può pervenire alle altezze di Dio, per quanto è possibile sulla terra, nel libro dei Numeri (12, 6-8) lo Spirito Santo dice che l’Altissimo rimproverò Aronne e Maria perché avevano mormorato contro il fratello Mosè, per far loro capire a qual grado di unione e di amicizia con Lui egli era stato elevato: Si quis inter vos fuerit pro pheta Domini, in visione apparebo ez, vei per somnzum loquar ad ilium. At non taiis servus meus Moyses, qui in omni dome mea fidelissimus est: ore enim ad os loquar ei, et palam et non per aenigmata et figuras Dominum videt, cioè: Se vi sarà fra voi un profeta del Signore, io gli apparirò in qualche visione o immagine e gli parlerò in sogno; ma non così con il mio servo Mosè, che in tutta la mia casa è fedelissimo: a lui parlerò faccia a faccia, ed egli mi vedrà apertamente e non per mezzo di comparazioni, di analogie e di figure. In questo passo il Signore fa chiaramente intendere come, nel sublime stato dell’unione di cui stiamo parlando, Egli Si comunica all’anima non sotto i veli di visioni immaginarie, di somiglianze o di figure, ma apertamente, cioè nella nuda e pura sua essenza, che è la faccia di Dio, unendosi per amore con la vuota e pura essenza dell’anima, che è la faccia dell’anima in amore divino.
13 - Ma ora nasce un dubbio: se è vero che Dio concede all'anima le visioni soprannaturali non perché ella le desideri, vi si attacchi o le stimi, per quale altro motivo gliele elargisce, dal momento che nei loro confronti essa può andare incontro a molti errori e pericoli o, per lo meno, agli inconvenienti già descritti che le impediscono di progredire, tanto più che il Signore potrebbe comunicarle spiritualmente e in sostanza ciò che le dà per mezzo dei sensi nelle visioni e forme suddette?
14 - Risponderò a questo dubbio nel capitolo seguente con una dottrina ricca e, a mio parere, molto necessaria alle persone spirituali e a coloro che le dirigono, poiché vi si insegna il modo con cui Dio si comporta e il fine che in esse si prefigge, per la cui ignoranza molti non si sanno governare e non sanno dirigere né se stessi né altri all’unione. Costoro credono che sia sufficiente il semplice fatto di conoscere che tali visioni siano vere e provengano da Dio, per ammetterle e rassicurarsi in esse, dimenticando che l’anima potrà trovarvi spirito di proprietà, attaccamento e impaccio, come in quelle del mondo, se anche in questo caso non sa rinunciarvi. Allo stesso modo sembra loro che sia bene ammetterne alcune e rifiutarne altre, gettando se stessi e le anime in preda ad una grande angustia e ad un grande pericolo quando si tratta di discernere quali siano vere e quali false. Dio invece non comanda loro di mettersi in tale impaccio e di esporre le anime umili e semplici a pericoli e incertezze. Possiedono una dottrina sana e sicura, quella della fede; camminino per questa via.
15 - Ma non è possibile procedere su questa via, se non si chiudono gli occhi a tutto ciò che appartiene al senso e che è cognizione chiara e particolare. Per questo S. Pietro, pur essendo certo della visione della gloria di Gesù Cristo avuta sul Tabor, dopo aver narrato l’episodio nella sua seconda lettera canonica, vuole che i fedeli non la prendano come argomento principale di certezza nella fede, ma per incamminarli sulla via di questa virtù, scrive: Et ha be-mus firmiorem pro pheticum sermonem, cui benefacitis at ten-dentes, quasi lucernae ardenti in caliginoso bce, donec dies elucescat (2 Pietro. I, 19). Abbiamo un argomento più solido di questa visione del Tabor, cioè i detti e le parole dei profeti, che rendono testimonianza a Cristo, ai quali fate bene a prestare attenzione come a lucerna che risplende in luogo oscuro. Se esaminiamo questa comparazione, vi troviamo tutta la dottrina che andiamo spiegando. Invitandoci a guardare alla fede, di cui parlano i profeti, come a lucerna che arde in luogo oscuro, S. Pietro vuole indicarci che dobbiamo rimanere al buio, chiudendo gli occhi a ogni altra luce, e che solo la fede, in queste tenebre, deve essere il lume a cui dobbiamo affidarci. Se preferiremo appoggiarci a gualche altra luce di conoscenze distinte, ci allontaneremo da quella oscura della fede, la quale cesserà di illuminarci nel luogo oscuro di cui parla l’Apostolo. Questo luogo poi, che è simbolo dell’intelletto, il quale è il candelabro su cui viene collocata la lucerna della fede, deve restare all’oscuro fino al momento in cui non albeggi per lei nell’altra vita il giorno della chiara visione di Dio e, in questa, quello della trasformaziane ed unione divina.

CAPITOLO 17
Si parla dello scopo che Dio si prefigge e del modo che tiene nel comunicare all’anima i beni spirituali per mezzo del senso, dottrina con la quale si risponde al dubbio proposto nel capitolo precedente.
5 - In questo modo dunque Dio istruisce e rende spirituale l’anima, incominciando a comunicarle lo spirituale delle cose esteriori, palpabili e accomodate al senso, secondo la piccolezza e la poca capacità di essa, affinché, mediante la corteccia di quelle cose sensibili, che sono buone di suo, lo spirito faccia a poco a poco atti particolari e riceva successivamente tante piccole comunicazioni spirituali da farsene un abito e giungere all’attuale sostanza dello spirito, che è aliena da ogni senso; a questa l’anina non può arrivare che progressivamente e secondo il suo modo di agire, cioè per il senso, a cui è stata sempre attaccata. E così a mano a mano che si avvicina allo spirito circa il tratto con Dio, l’anima si spoglia e si vuota delle vie del senso, che sono quelle del discorso e della meditazione immaginanria. Perciò quando ella giungerà a intrattenersi con Dio in modo perfetto, si sarà spogliata necessariamente di tutto ciò che intorno a Lui può cadere sotto il dominio dei sensi. Infatti quanto più una cosa si avvicina ad un estremo, tanto più si allontana da quello opposto; anzi la sua vicinanza assoluta all’uno, comporta la sua lontananza ugualmente assoluta dall’altra, secondo il proverbio spirtuale molto diffuso: Gustato spiritu, desipit omnis caro, che vuel dire: assaporato lo spirito, tutto ciò che è carne diventa insipido, cioè, tutte le vie della carne, che simboleggiano ogni tipo di relazione del senso con lo spirito, non giovano e non producono alcun diletto. Ciò è chiaro perché se è spirito, non cade sotto il senso, e se è tale da essere cempreso dal senso, non è più puro spirito. Infatti quanto più il senso e l’apprensione naturale possono conoscere di questo, tanto meno spirito soprannaturale esso pessiede.
6 - Pertanto la persona spirituale che ha raggiunto la perfezione non fa caso del senso né riceve alcuna cosa per mezzo di esso; inoltre nelle sue relazioni con Dio non si serve né ha bisogno di servirsi precipuamente di esso come faceva prima, quando ancora non era perfetta. È quanto vuole insegnare S. Paolo nel seguente brano della lettera ai Corinti (1 Cor. 13,11): Cum essem parvulus, loquebar ut parvulus, sapiebam ut parvulus, cogitabam ut parvulus. Quando autem factus sum vir, evacuavi quae erant parvuli - Quando ero fanciullo parlavo come un fanciullo, conoscevo come un fanciullo, pensavo come un fanciullo; ma quando diventai uomo mi liberai dalle cose proprie di un fanciullo.
Ho già dimostrato come le cose del senso e la conoscenza che lo spirito può raggiungere per mezzo di esse, siano esercizio da fanciulli; perciò se l’anima vorrà rimanervi sempre attaccata senza mai distogliersene, non cesserà mai di essere un fanciullo e quindi parlerà sempre di Dio come un fanciullo, conoscerà Dio come un fanciullo e penserà a Dio came un fanciullo. Infatti attaccandosi alla corteccia del senso, che è il fanciullo, mai parverrà alla sostanza della spirito, che è l’uomo perfetto. L’anima, dunque, se vuole progredire non deve ammettere le rivelazioni, quantunque le siano offerte da Dio, simile al bimbo il quale per assuefare il palato a cibo più sostanzioso e più solido, ha bisogno di staccarsi dal petto materno.
7- Mi domanderete ora: non sarà necessario che l’anima, finché è piccola, desideri di ricevere tali favori e li abbandoni solo quando sarà cresciuta, com’è necessario che un bambino prenda il latte per nutrirsi, finché non sia divenuto grande e possa farne a meno? Per quanto riguarda la meditazione e il discorso naturale in cui l’anima incomincia a cercare Dio, rispondo dicendo che in verità ella non deve abbandonare il petto materno del senso per nutrirsi e sostentarsi altrimenti fino al momento in cui possa staccarsene, cioè sino a quando il Signore la porrà nello stato più perfetto della contemplazione, di cui ho parlato al capitolo undecimo di questo libro. Affermo invece che l’anima non deve ammettere visioni immaginarie e altre apprensioni soprannaturali, che possono cadere nel senso, indipendentemente dalla libertà dell’uomo, in qualunque tempo e stato esse avvengano, sia in quello perfetto che in quello imperfetto, anche se provengono da Dio. Le ragioni sono due. La prima è perché Egli produce il suo effetto nell’anima senza che costei riesca ad impedirglielo, anche se, come spesso avviene, ostacoli o possa ostacolare la visione. In conseguenza di ciò l’effetto che tale visione dovrebbe produrre nell’anima viene causato in essa molto più sostanzialmente, quantunque in maniera diversa. Ella infatti non può né è capace di allontanare quei beni che Dio le vuol cemunicare, se non a causa di qualche imperfezione e spirito di proprietà, il che non si verifica quando ella rinuncia a tali cose con umiltá e diffidenza di sé. La seconda è quella di liberarsi dal pericolo e dalla difficoltà che_vi_è_nel discernere le cattive dalle buone e nel conoscere se sono prodotte dall’angelo della luce o da quello delle tenebre. In questo lavoro non vi è alcun giovamento, ma vi si perde tempo, vi si imbarazza lo spirito e, non collocando l’anima in ciò che le gioverebbe liberandola dalle piccolezze di apprensioni e di conescenze particolari, secondo quanto è stato detto a proposito delle visioni corporee e quanto si dirà relativamente a queste immaginarie, ci si pone nell’occasione di commettere molte imperfezioni e di non fare un passo avanti.
8 - Ci si convinca che se Nostro Signore non dovesse condurre l’anima a seconda della natura di essa, non le comunicherebbe mai l’abbondanza del suo spirito mediante questi canali così angusti di forme, figure e cognizioni particolari, dei quali Egli si serve per darle il nutrimento a briciole. Per questo David afferma: Mittit crystallum suam sicut buccellas (Sal. 147, 17), come se volesse dire: Comunica alle anime la sua sapienza quasi a bocconi. È cosa veramente dolorosa di dover constatare come l’anima, dotata di capacità infinita, venga nutrita con i bocconi del senso a causa del suo poco spirito e della sua poca sensibilità. Anche S. Paolo si mostra addolorato da questa meschinità e inettitudine dell’aniina a ricevere lo spirito, quando scrive ai Corinti (1 Cor. 3, 1-2): Et ego, fratres, non potui vobis loqui quasi spiritualibus, sed quasi carnalibus. Tanquam parvulis in Christo, lac vobis potum dedi, non escam: nondum enim poteratis; sed et nunc quidem non potestis. Adhuc enim carnales estis - Fratelli miei, quando venni da voi, non potei parlare come a spirituali, ma come a gente carnale. Come a bambini in Cristo vi detti del latte da bere e non del cibo solido.
9 - È bene dunque ricordare che l’anima non deve porre attenzione su quella corteccia di figure e di oggetti che le vengono posti dinanzi soprannaturalmente e che riguardano i sensi esterni, come sono per esempio, locuzioni e parole che risuonano all’udito, visioni di santi e splendori luminosi che si presentano agli occhi, odori che vengono percepiti dall’olfatto, gusti e soavità del palato e altri diletti del tatto, cose che precedono in generale dallo spirito e che ordinariamente accadono alle persone spirituali. Inoltre non deve posare lo sguardo su qualsiasi visione dei sensi interni, come sono quelle immaginative, ma deve rinunciare a tutte.

CAPITOLO 21
Si dichiara come, pur rispondendo talvolta a quanto Gli si domanda, Dio non è contento e si dimostra che, sebbene Egli qualche volta accondiscenda e risponda, spesso però si sdegna.
1- Alcune persone spiritali ritengono tranquillamente per buone le curiosità di cui talvolta usano onde sapere qualche cosa per via soprannaturale, credendo che questo loro modo di fare sia buono e piaccia a Dio, perché questi risponde qualche volta alla loro domanda. Invece è vero che, quantunque il Signore li esaudisca, questo modo di procedere non è buono ed Egli non è contento; anzi è vero il contrario, cioé che Dio spesso se ne sdegna e se ne offende molto. Ciò accade perché a nessuna creatura è lecito evadere dai termini che Dio le ha naturalmente imposto per sua norma. L’uomo, per governarsi, ha ricevuto dal Signore dei mezzi naturali e razionali: non gli è quindi permesso di volersene liberare; indagare e raggiungere alcunché per via soprannatunale è pretendere sottrarsi ad essi. Dunque non è cosa lecita e non può piacere a Dio, giacché si offende di tutto ciò che è illecito. Conosceva bene questa verità il re Acaz il quale, sebbene Isaia da parte di Dio lo spingesse a chiedere qualche segno, se ne schernì dicendo: Non petam et non tentabo Daminum (Is. 7, 12) - Non io chiederò, né tenterò il Signore, perché pretendere di trattare con Dio per vie straordinarie come sono quelle soprannaturali è tentare il Signore.
2 - Mi direte: se Dio non ha piacere di tali richieste, perché qualche volta risponde? Dico che spesso è il diavolo che risponde; quando è Dio, questo si accomoda alla debolezza dell’anima che vuole andare per questa via. Perché dunque ella non si lasci vincere dallo sconforto e non torni indietro e perché non soffra in modo eccessivo pensando che il Signore sia irritato con lei, o per qualche altro fine a Lui noto e fondato sulla debolezza di quell’anima, Dio crede opportuno risponderle e accondiscendere per tale via. È questo il metodo che Egli adopera anche con numerose anime fiacche e delicate concedendo loro, secondo quanto è stato detto sopra, gusti e soavità sensibli quando esse trattano con Lui. Avviene così non perché Egli voglia e provi piacere che si adoperi questo mezzo e questa via nel trattare con Lui, ma perché dà a diascuno secondo la propria natura. Dio infatti è come una fonte, dalla quale ciascuno attinge a seconda della capacità del proprio vaso. Talvolta Egli permette che l’acqua sia raccolta usando di quei canali straordinari, ma da ciò non segue che sia lecito attingerla per mezzo di essi se non a Dio stesso, il quale la può concedere quando, come e a chi vuole e per il fine da Lui inteso, senza che l’uomo possa avanzare alcuna pretesa. Perciò, come ho detto, alcune volte viene incontro al desiderio e alle preghiere di alcune anime che Egli intende esaudire, non perché si compiaccia delle lore richieste, ma perché sone buone e semplici.
3 - Tale affermazione si comprenderà meglio per mezzo della seguente cemparaziene. Un padre di famiglia ha sulla tavola numerosi e diversi cibi, alcuni dei quali sono più delicati che altri. Un suo bimbo, gli chiede, non la pietanza migliore, ma quella contenuta nel piatto a lui più vicino e gliela chiede perché mangia più volentieri quella che un’altra. E poiché il padre vede che il figlio non prenderà il cibo più delicato, che vorrebbe dargli, ma quello di cui ha fatto richiesta, il solo che sia di suo gusto, affinché non si affligga e non resti senza mangiare, glielo concede sebbene contro voglia. Così vediamo che Dio fece con i figli di Israele quando gli chiesero un re; lo concesse ma a malincuore, perché per loro non era un bene. Disse perciò a Samuele: Audi vocem populi in omnibus quae loquuntur tibi: non anim te abiacerunt, sed me (I Re 8, 7) - Ascolta la voce di questo popolo e concedi lore il re che chiedono, poiché me, non te hanno rigettato, affinché non io regni su di loro. Allo stesso modo Dio accondiscende ai desideri di alcune anime, accordando loro ciò che non è più utile, non volendo esse o non sapendo camminare per altra via. E così alcune ottengono persino dolcezze e soavità dello spirito a del senso, che Dio accorda loro perché non saprebbero mangiare il cibo più forte e più solido della croce di suo Figlio, verso la quale più che verso altro oggetto vorrebbe che tendessero la mano.
4 - Tuttavia io ritengo sia molto peggio voler saper qualche cosa per via soprannaturale che cercare altri gusti spirituali del senso, poiché non vedo come l’anima che lo pretende possa essere esente da peccato almeno veniale, per quanto siano buoni gli scopi che ella si propone, e grande la perfezione a cui è giunta. Lo stesso vale per chi glielo comandasse o vi acconsentisse. Infatti non v’é alcuna necessità di ciò, perchè abbiamo la ragione naturale e la legge e la dottrina evangelica con cui ci possiamo sufficientemente regolare e non v’é difficoltà che non possa essere risolta e necessità a cui non si possa rimediare in maniera molto gradita a Dio e vantaggiosa per le anime. Dobbiamo anzi servirci della ragione e della dottrina evangelica in modo tale che se, volendo o no, ci fossero rivelate soprannaturalmente alcune cose, dovremmo accettare solo quelle conformi alla ragione e alla legge evangelica. Però anche in tal caso le dovremmo ricevere, non perché rivelate, ma perché razionali, lasciando da parte ogni senso di rivelazione. Anzi allora conviene guardare ed esaminare quella ragione molto di più che se non vi fosse intessuta qualche rivelaziane perché il demonio per ingannare dice molte cose che sono vere, che accadranno e che sono conformi a ragione.
5- Deriva da ciò che in tutte le nostre necessità e difficoltà e in tutti i nostri travagli noi non abbiamo altro aiuto migliore e più sicuro della preghiera e della speranza che il Signore provvederà con quei mezzi che a Lui piaceranno. Tale consiglio ci viene dato dalla Sacra Scrittura in cui si legge che il santo Re Giosaffatte, molto afflitto perché circondato dai nemici, si mise in orazione e disse a Dio: Cum ignoramus quid facere debeamus, hoc solum habemus residui, ut oculos nostros dirigamus ad te (2 Cron. 20, 12), come se dicesse: Quando mancano i mezzi e la ragione nan arriva a provvedere nelle necessità, ci resta solo di elevare i nostri occhi a te, perché tu provveda come meglio ti piace.
6 - Quantunque ne sia già stato parlato, sarà bene provare con testimonianze desunte dalla Sacra Scrittura come, pur venendo incontro a tali ingiuste richieste, il Signore qualche volta si sdegna. Nel primo libro dei Re (28, 15) Si narra come la richiesta che Saul fece di parlare con Samuele ormai morto fu esaudita con l’apparizione del profeta; Dio però si adirò perché Samuele poi rimproverò il re di averlo costretto a ciò: Quare inquietasti me ut suscitarer? - Perché mi hai disturbato facendomi risuscitare? Sappiamo inoltre che Dio, anche se concesse ai figli di Israele le carni da essi richieste, si sdegnò molto con loro; infatti, li punì immediatamente, inviando fuoco dal cielo, secondo quanto si legge nel Pentateuco e viene narrato da David con le parole: Adhuc escae eorum erant in ore ipsorum et ira Dei descendit super eos (Sal. 77, 30-31), che vuol dire: Avevano ancora il boccone in bocca quando l’ira divina discese su di loro. Nei Numeri infine (22, 32) è scritto che Dio si adirò molto contro il profeta Balaam perché si recò dai Madianiti, chiamato dal loro re Balac: eppure il Signore stesso gli aveva detto di andare, allorché il profeta, avendone un gran desiderio, glielo aveva chiesto. E durante il cammino gli apparve l’angelo del Signore che, con la spada in mano, minacciandolo di morte gli disse: Perversa est via tua mihique contraria - Perversa è la tua via e a me contraria, ragione per cui gli voleva togliere la vita.
7- In questa e in molte altre maniere Dio, sebbene corrucciato, asseconda i desideri delle anime. Senza contare i numerosi esempi, abbiamo di ciò molte testimonianze nella Scrittura, delle quali però non c’è bisogno data la grande chiarezza della cosa. Affermo soltanto che è estremamente pericoloso, più di quanto io non sappia dire, voler trattare con Dio per tali vie. Colui che vi sarà attaccato, non sarà esente da gravi errori e si troverà spesso confuso; chi poi ne ha fatto caso, cenoscerà per esperienza quello che dico. Infatti oltre alla difficoltà che si trova nell’evitare di ingannarsi riguardo alle locuzioni e visioni che provengono da Dio, c’è da notare che ve ne sono ordinariamente molte da parte del demonio. Questi in generale si comporta con l’anima nella stessa maniera di Dio per introdursi in lei come il lupo nel gregge con la pelle di pecora, proponendole verità tanto verosimili che a stento si possono distinguere da quelle comunicatele dal Signore. Dicendo infatti cose vere o che poi risultano tali e conformi a ragione, le anime si possono ingannare facilmente; quando poi vedono che quelle cose si avverano e che egli predice il futuro, pensano che siano da parte di Dio. Non sanno che è facilissimo per chi possiede lume naturale limpido conoscere nelle loro cause tutte le cose o molte di esse che sono state o che saranno. Poiché il demonio ha sempre questo lume naturale molto vivo, può con somma facilità dedurre un certo effetto da una certa causa, anche se poi non sempre accade così perché tutte le cause dipendono dalla volontà divina.
8 - Facciamo un esempio. Il demonio conosce come lo stato della terra, dell’aria e del sole è tale ed è disposto in tale grado che, giunto un tempo determinato, proprio in forza della loro disposizione questi elementi diventeranno contaminati e comunicheranno il contagio alle persone con la peste, dicendo anche in quali luoghi essa avrà maggiore o minore intensità. Ecco prevista la peste nelle sue cause. C’è dunque da meravigliarsi se il demonio in una rivelazione dirà ad un’anima che entro un anno o sei mesi ci sarà una pestilenza e che la sua parola risulti vera? Ed è profezia del demonio! Similmente egli, notando che le viscere della terra si riempiono di aria, può conoscere le cause dei terremoti e predire che in un tempo determinato se ne avrà qualcuno. Questa però è conoscenza naturale, per il cui conseguimento basta avere lo spirito libero dalle passioni dell’anima, secondo quanto afferma Boezio: Si vis claro lumine cernere verum, gaudia pelle, timorem spemque fugato, nec dolor adsit - Se vuoi conoscere la verità con chiarazza naturale, rigetta da te il gaudio, il timore, la sparanza e il dolore.
9 - Inoltre si possono conoscere fatti a avvenimenti, soprannaturali nelle loro cause, che seguono l’ordine della Provvidenza divina la quale interviene con grande giustizia e certezza secondo quanta esigono le cause buone o cattive poste dai figli degli uomini. È possibile infatti conoscere naturalmente che una determinata persona, città e cosa giungerà a tale estremo e necessità da costringere Dio provvidente e giusto a intervenire con punizione, con premio o in qualche altro modo adeguato, a seconda delle esigenze della causa e in conformità alla natura di essa. Allora sarà facile affermane che in un determinato tempo Dio darà o farà qualche cosa o che ne accadrà certamente qualche altra. Santa Giuditta fece intendere questa verità ad Oloferne quando, onde persuaderlo che i figli di Israele dovevano essere inesorabimente distrutti, prima gli parlò delle molte miserie e dei gravi peccati che essi commettevano e poi soggiunse: Et quoniam haec faciunt, certum est qoad in perditionem dabuntur (Giudit. 11, 12), che si spiega: Poiché fanno queste cose, saranno certamente distrutti. Parlare così è conoscere il castigo nella causa ed equivale ad affermare che tali peccati causano tali castighi da parte di Dio, il quale è giustissimo, come del resto afferma anche la Sapienza divina: Per quae quis peccat, per haec et torquetur (11, 17) -In quello e con quelle cose con cui uno pecca, sarà punito.
10 - Il demonio può conoscere questi fatti non solo per natura, ma anche per l’esperienza che ne ha, avendo veduto Dio comportarsi in modo simile; può quindi annunziarli prima e indovinarli. Anche il santo Tobia conobbe nella causa la punizione riservata alla città di Ninive e poté avvertirne il figlio dicendo: Stai attento, figlio, quando io e tua madre saremo morti lascia subito questa terra, perché essa non continuerà ad esistere - Video enim quia iniquitas eius finem dabit ei - Poiché vedo bene che la sua stessa iniquità sarà causa del suo castigo, che consisterà nella sua rovina e distruzione totale (14, 13). Il demonio e Tobia potevano conoscere tale punizione non solo a causa dell’iniquità dei cittadini, ma anche per esperienza, vedendo che i Niniviti commettevano peccati simili a quelli degli uomini per i quali Dio distrusse il mondo con il diluvio, e a quelli dei Sodomiti, che perirono per mezzo del fuoco. Tobia però la conosceva anche per ispirazione divina.
11 - Il demonio può conoscere e predire che Pietro secondo natura non può vivere più di quei dati anni. Lo stesso vale per tante altre cose in molte altre maniere intorno alle quali non si potrebbe mai finire né incominciare a parlare perché intricatissime. Egli poi è sottilissimo nell’insinuare menzogne, da cui ci si può liberare soltanto fuggendo da ogni rivelazione, visione e locuzione soprannaturale. Dio si sdegna giustamente con chi le ammette perché sa che esporsi a tale pericolo è temerità, presunzione, curiosità, principio di superbia, radice e fondamento di vanagloria, disprezzo delle cose di Dio a causa di numerosi mali a cui molti andarono incontro. Costoro irritarono Dio così tanto che lasciò di proposito che errassero e si ingannassero e permise che oscurassero il proprio spirito e abbandonasserò le vie ordinate della vita per dar luogo alle loro vanità e fantasie, compiendo così il detto di Isaia: Dominus miscuit in medio eius spiritum vertiginis (19, 14) - Il Signore diffuse in mezzo lo spirito di rivolta e di confusione o, per dirlo in parole semplici, lo spirito di intendere a rovescio. Queste parole del profeta fanno al proposito nostro, perché egli le disse per coloro che volevano conoscere il futuro per via soprannaturale. È questo il motivo per cui afferma che Dio diffuse in mezzo a loro lo spirito di intendere a rovescio: non perché Egli volesse che quelle persone cadessero in errore o desse loro di fatto lo spirito di errare, ma perché volevano intromettersi in cose alle quali naturalmente non petevano pervenire. Irritato di questo, il Signore permise che si ingannassero non concedendo loro il lume necessario a conoscere ciò in cui voleva che non si intromettessero. Il profeta afferma che Dio mescolò quello spirito in senso privativo in quanto che, non dando loro la sua luce e la sua grazia onde potessero evitare di cadere in errore, fu causa privativa di quel danno.
12 - In tal mado il Signore permette al demonio di accecare ed ingannare molte anime, perché esse lo meritano a causa dei loro peccati e della loro presunzione. Il maligno lo può e ottiene il suo effetto perché esse lo ritengono per spirito buono e quantunque si sia fatto molto per persuaderle del contrario, non si riuscirà a disingannarle perché, per permissione divina, sono ormai imbevute dello spirito di intendere a rovescio. Sappiamo che accadde così anche ai profeti di Acab: Dio permise che fossero ingannati dallo spirito di menzogna e dette perciò licenza al demonio, dicendogli: Decipies et praevalebis; egredere et fac ita (3 Re 22, 22) - Con le tue menzogne prevarrai su di loro e li ingannerai: esci pure a fa così. La sua potenza ingannatrice sul re e sui profeti fu tanta che non vollero credere a Michea allorché questi predisse loro le verità contrarie del tutto a quanto era stato profetizzato dagli altri. Avvenne ciò perché Dio lasciò che si ingannassero a causa dello spirito di proprietà che nutrivano bramando che le cose accadessero secondo il loro desiderio e che Dio rispondesse conforme ai loro appetiti, il che costituiva un mezzo e una disposizione certissima perché il Signere permettesse di proposito il loro inganno e il loro accecamento.
13 - Così in nome di Dio profetizzò Ezechiele parlando contro chi vuol sapere le cose per via soprannaturale, secondo la curiosità e vanità del suo spirito: Allorché il tale uomo verrà dal profeta onde interrogarmi per suo mezzo, io, il Signore, gli risponderò da me stesso, gli mostrerò la mia faccia irritata, e se il profeta avesse sbagliato nel rispondere a ciò che gli era stato domandato: Ego, Daminus, decepi prophetam illum: Io, il Signore, ho tratto in inganno quel profeta (Ez. 14, 7-9). Queste ultime parole si devono intendere nel senso che Dio non concorse con la sua gnazia per impedire che il profeta fosse ingannato, come risulta anche dall’altra espressiene: Io, il Signore, gli risponderò da me, irritato, vale a dire, togliendogli la sua grazia e il suo favore. Conseguenza necessaria di ciò è che questi cada subito in errore a causa dell’abbandono divino. Allora il demonio si affretta a rispondere secondo il gusto e l’appetito di quell’uomo il quale, provandone piacere e vedendo che le risposte e le comunicazioni sono conformi alla sua volontà, si lascia grandemente ingannare.

CAPITOLO 22
4 — Tale è il senso del testo mediante il quale S. Paolo vuole indurre gli Ebrei ad abbandonare i modi primitivi di trattare con Dio permessi dalla legge mosaica per fissare gli occhi unicamente in Cristo: Multifariam multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis: novissime autem diebus istis locutus est nobis in Filio (Ebr. 1, 1-2), come se dicesse: Quel che Dio in molti modi e in più riprese disse in antico ai nostri padri per mezzo dei profeti, l’ha detto in questi giorni in una volta a noi per mezzo del Figlio suo. Con queste parole l’Apostolo vuol far capire che Dio è rimasto quasi come muto non avendo altro da dire poiché, dandoci il Tutto, cioè suo Figlio, ha detto ormai in Lui tutto ciò che in parte aveva manifestato in antico ai profeti.
5 — Perciò chi oggi volesse interrogare il Signore e chiedergli qualche visione o rivelazione non solo commetterebbe una sciocchezza, ma arrecherebbe un’offesa a Dio, non fissando i suoi occhi interamente in Cristo per andare in cerca di qualche altra cosa o novità. Invero il Signore gli potrebbe rispondere in questo modo: Se Io ti ho detto tutta la verità nella mia parola, cioè nel mio Figlio, e non ho altro da manifestarti, come ti posso rispondere o rivelare qualche altra cosa? Fissa gli occhi su Lui solo, nel quale io ti ho detto e rivelato tutto, e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri. Tu infatti domandi locuzioni e rivelazioni che sono soltanto una parte, ma se guarderai Lui, vi troverai il tutto, poiché Egli è ogni mia locuzione e risposta, ogni mia visione e rivelazione in quanto che io vi ho già parlato, risposto, manifestato e rivelato ogni cosa dandovelo per fratello, compagno, maestro, prezzo e premio. Dal giorno in cui sul Tabor discesi con il mio Spirito su di Lui dicendo: Hic est Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui, ipsum audite (Mt. 17, 5).- Questo è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo, cessai di istruire e rispondere in queste maniere e commisi tutto a Lui: ascoltatelo perché ormai non ho più materia di fede da rivelare e verità da manifestare. Prima parlavo ma unicamente per promettere Cristo e gli uomini mi consultavano solo per chiedere e aspettare Lui nel quale dovevano trovare ogni bene, come ora tutta la dottrina degli evangelisti e degli apostoli fa capire. Colui che ora mi consultasse in quel modo e desiderasse che io gli dicessi e rivelassi alcunché, sotto un certo aspetto mi chiederebbe di nuovo Cristo e altre verità della fede, in cui però sarebbe debole perché tutto è già stato dato in Lui. In tal modo farebbe un grave oltraggio al mio amato Figlio poiché non solo in ciò mancherebbe alla fede, ma perché lo obbligherebbe ad incarnarsi di nuovo e ad affrontare ancora una volta la vita e la morte qui in terra. Tu dunque non desidererai né chiederai nessuna rivelazione o visione da parte mia: guarda bene il Cristo e in Lui troverai già fatto e detto molto più di quanto tu vorresti.
6 — Se vuoi che Io ti dica qualche parola di conforto, guarda mio Figlio, obbediente a me e per amor mio sottomesso ed afflitto, e sentirai quante cose ti risponderà. Se desideri che io ti sveli alcune cose o avvenimenti occulti, fissa in Lui i tuoi occhi e vi troverai dei misteri molto profondi, la sapienza e le meraviglie di Dio le quali, secondo quanto afferma il mio Apostolo, sono in Lui contenute: in quo sunt omnes thesauri sapientiae et scientiae Dei absconditi (Col. 2, 3), cioè: Nel quale Figlio di Dio sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio, tesori di sapienza che saranno per te profondi, saporosi e utili più di tutte le cose che vorresti sapere. Per questo lo stesso Apostolo si gloriava dicendo di aver fatto intendere che egli non conosceva se non Gesù Cristo e questo crocifisso (1 Cor. 2, 2). Inoltre se tu desideri altre visioni e rivelazioni divine o corporee, mira il Cristo umanato e vi troverai più di quanto pensi, poiché S. Paolo afferma a tale proposito: In ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter (Col. 2, 9) - In Cristo dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità.

CAPITOLO 24
7 — Anche il demonio può causare nell’anima tali visioni usando di qualche luce naturale in cui, per suggestione spirituale, lo spirito conosce cose o presenti o assenti. Perciò, riguardo al testo di S. Matteo dove si legge che il demonio mostrò al Cristo omnia regna mundi et gloriam eorum (Mt. 4, 8) cioè tutti i regni della terra e il loro splendore, alcuni dotti interpreti affermano che il maligno si servì della suggestione spirituale perché non era possibile far vedere a Gesù con gli occhi del corpo tante cose, cioè tutti i regni del mondo e la loro gloria. Tuttavia grande è la differenza fra le visioni del demonio e quelle di Dio: gli effetti prodotti nell’anima dalle prime non sono come quelli causati dalle seconde, poiché le diaboliche non solo non producono per niente dolcezza di umiltà e di amore divino, ma generano aridità di spirito nella conversazione con Dio, e inclinazione ad inorgoglirsi e ad ammetterle e a dare loro qualche importanza. Inoltre le loro immagini non restano impresse nell’anima con la stessa soave chiarezza delle altre e non durano a lungo, ma si cancellano presto, a meno che ella non le apprezzi molto, nel qual caso la stima farà si che ella se ne ricordi naturalmente. Tale ricordo però sarà molto arido e non produrrà l’effetto di amore e di umiltà causato dalle visioni buone quando l’anima le ricorda.
8 — Queste visioni non possono servire all’intelletto come mezzo prossimo per l’unione con Dio, perché hanno per oggetto le creature con le quali il Signore non ha alcuna proporzione e convenienza essenziale. È quindi necessario che nei loro confronti l’anima si comporti in maniera puramente negativa, come ho già detto che si deve regolare con le altre, affinché possa andare avanti usando del mezzo prossimo, che è la fede. In conseguenza di ciò, ella non deve conservare quasi come in un archivio o in uno scrigno le forme di quelle visioni che le restano impresse, né deve appoggiarsi ad esse perché rimarrebbe imbarazzata da quelle figure, immagini e persone che risiedono nel suo intimo, e non camminerebbe verso Dio attraverso la negazione di tutte le cose. Ammesso il caso che tali immagini si rappresentino continuamente nel suo interno, non le arrecheranno alcun impedimento se essa non ne farà caso. Infatti se è vero che il loro ricordo spinge l’anima a qualche grado di amore di Dio e di contemplazione, molto di più ve la spingeranno e innalzeranno la fede pura e la nudità oscura di tutte quelle cose, senza che ella sappia come né da dove le vengano. Accade cosi che l’anima sia infiammata da ansie di puro amore divino senza sapere da dove le vengano e quale fondamento abbiano avuto. La ragione di ciò va ricercata nel fatto che insieme con la fede, la quale si è radicata ed è penetrata molto a fondo a causa del vuoto, delle tenebre e della nudità di tutte le cose, o povertà di spirito [cose tutte che potrebbero essere chiamate con uno stesso nome] si è molto di più approfondita e abbarbicata nell’anima la carità di Dio. Da ciò segue che quanto più ella si sforza di ottenebrarsi e annientarsi circa tutte le cose esteriori e interiori che può ricevere, tanto più fede e quindi amore e speranza le vengono infuse poiché queste tre virtù teologali progrediscono insieme.
18 — Tutte queste conoscenze, vengano o no da Dio, possono servire ben poco al cammino dell’anima verso di Lui, qualora ella intenda attaccarvisi; al contrario, se non si prenderà cura di rinnegarle, esse non solo le saranno d’inpedimento, ma le arrecheranno grave danno e la faranno cadere in molti errori. In esse infatti possono essere, in misura uguale e anche maggiore, tutti i pericoli e gli inconvenienti che si possono verificare nelle apprensioni soprannaturali di cui si è parlato fino a questo momento. Avendone quindi già dato una dottrina sufficiente quando parlavo di queste, non mi dilungo a trattarne ora, limitandomi solo a dire che l’anima deve avere una gran cura di rifiutarle sempre desiderando di andare a Dio non sapendo e di parlarne ogni volta al confessore o al maestro spirituale, alle cui decisioni deve sottostare in modo assoluto. Questi poi cerchi di far passare l’anima al di sopra di esse negando loro ogni importanza per il cammino verso l’unione, poiché di queste cose che le vengono date passivamente, rimarrà in lei l’effetto voluto da Dio senza che ella vi ponga alcuna diligenza. Non mi sembra dunque necessario parlare dell’effetto che le vere e le false producono, poiché mi stancherei senza esaurire l’argomento. Infatti i loro effetti non possono essere compresi nel giro di una breve trattazione, visto che sono molteplici e vari, come molte e varie sone le notizie, poiché le buone producono quelli buoni, le cattive quelli cattivi. Consigliando di rifiutarle tutte, è detto a sufficienza quanto basta per non cadere in errore.

CAPITOLO 27
3 — Il demonio può intromettersi molto nei confronti di questa specie di rivelazioni. Poiché esse ordinariamente avvengono per mezzo di parole, di figure, di somiglianze ecc., egli può fingere qualche cosa di simile con più facilità di quando sono puramente spirituali. Pertanto, se nell’una o nell’altra delle due maniere suddette ci fosse rivelato alcunché di nuovo o di diverso nel campo della fede, non dobbiamo acconsentirvi in nessun modo, neppure se fossimo certi che colui il quale ce lo manifesta è un angelo del cielo. Così afferma S. Paolo: Licet nos, aut angelus de coelo evangelizet vobis praeterquam quod evangelizavimus vobis, anathema sit (Gal. 1, 8), che vuol dire: Anche se noi stessi o un angelo del cielo vi annunziasse o vi predicasse cose diverse da quelle che vi abbiamo annunziato noi, sia anatema.
4 — Non essendovi quindi da rivelare, circa la sostanza della fede, altri articoli, all’infuori di quelli già manifestati dalla Chiesa, ne segue che non solo è necessario per l’anima rigettare quanto di nuovo le venga rivelato in rapporto a quella virtù, ma le conviene, per cautela, non ammettere altre verietà involute. A causa poi della purezza che deve avere nella fede, ella, anche se le vengono rivelate di nuovo verità già di fede, non deve credere ad esse per la semplice ragione che le sono nuovamente manifestate, ma perché sono già sufficientemente rivelate alla Chiesa; anzi, chiudendo loro gli occhi dell’intelletto, si appoggi con semplicità alla dottrina e alla fede di lei, la quale, come dice S. Paolo, entra attraverso l’udito (Rom. 10, 17). Infine, se non vuole essere ingannata, non presti credito né attenzione a queste verità di fede nuovamente rivelate, quantunque le sembrino conformi e vere. Il demonio infatti, per ingannare e per insinuare menzogne, alimenta in primo luogo con verità o con cose verosimili, onde genenare sicurezza e subito dopo trarre in inganno. Si comporta come la setola che si usa per cucire il cuoio: prima entra la setola rigida, poi il filo floscio, il quale non potrebbe entrare se quella non gli facesse da guida.
5 — L’anima dunque stia bene attenta a ciò poiché, ammesso il caso che non vi sia da temere di essere ingannata in tal modo, sarà conveniente che ella non desideri di intendere chiaramente le verità riguardanti la fede, onde conservarne puro e intero il merito e giungere per questa notte dell’intelletto alla divina luce dell’unione con Dio. In qualsiasi nuova rivelazione importa molto attenersi alle profezie passate; ce ne dà una dimostraziene l’Apostolo S. Pietro il quale pur avendo veduto in qualche modo sul Tabor la gloria del Figlio di Dio, nella sua lettera canonica scrive queste parole: Et habemus firmiorem pro pheticum sermonem, cui bene facitis attendentes (2 Piet. I, 19), come se dicesse: sebbene sia vera la visione del Cristo da me avuta sul Tabor più ferma e certa è la parola della profezia che ci è stata annunziata, a cui fate bene ad appoggiare la vostra anima.
6 — Se è vero che, per le cause suddette, è conveniente chiudere gli occhi alle rivelazioni che hanno per oggetto le proposizioni di fede, quanto più sarà necessanio non ammettere e non dare importanza alle altre cencernenti cose diverse dalla fede, nelle quali ordinariamente il demonio si intromette in modo da farmi ritenere impossibile che eviti di essere ingannato colui il quale non si sforza di rifiutarle, tanto è grande l’apparenza di verità e la certezza che il maligno vi pone. Questi infatti, perché vi si creda, unisce loro tante verosimiglianze e convenienze e le stabilisce nel senso e nell’immaginazione così fermamente da far sembrare all’anima che esse avverranno proprio in quel mado. La spinge inoltre ad attaccarvisi con ostinazione e se essa non sarà umile, sarà molto difficile distaccarla e farle credere il contrario. Pertanto l’anima pura, prudente, semplice e umile deve resistere con grande forza e cura alle rivelazieni e alle visioni come se fossero tentazioni pericolose, poiché non è necessario desidrarle, anzi si devono rifiutare per progredine verso l’unione di amore. A ciò vuole alludere Salomone quando disse: Qual necessità ha l’uomo di volere e di cercare le cose che sono al di sopra della sua capacità? (Eccle. 7, 1), come se dicesse: per essere perfetto l’uomo non ha bisogno alcuno di volere cose soprannaturali per via soprannaturale, il che è al di sopra delle sue capacità.
7 — Poiché alle obiezioni possibli contro tale dottrina è già stato risposto ai capitoli diciannovesimo e ventesimo del presente libro, rimandando ad essi, dico solo che l’anima, per camminare puramente e senza errore nella notte della fede verso l’unione, deve guardarsi da tutti quei favori.

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