DOVERI VERSO LA VERITÀ CONOSCIUTA

+ GIROLAMO B. BORTIGNON, O.F.M. Cap., Vesc. di Padova

Le celebrazioni per la canonizzazione di S. Gre­gorio Barbarigo, grande maestro di verità, e le varie attività per il congresso sui problemi dell’istruzione re­ligiosa, che si stanno ancora svolgendo per concludersi con la grande missione cittadina, mi suggeriscono quale argomento, anche per la pastorale della Quaresima di quest’anno, la verità religiosa. L’anno scorso ci siamo intrattenuti sull’obbligo della ricerca della verità; quest’anno tratteremo dei doveri verso la verità conosciuta. Vedremo come questi doveri importino l’obbligo di godere della verità, di conservarla, di approfondirla e di vivere coerenti alla medesima.
I. - GODERE DELLA VERITA .
Il primo dovere è il "gaudium de veritate", come insegna S. Agostino: la gioia della verità posseduta, vale a dire la gioia della fede, la gioia di essere cattolici.
1. GIOIA.
Deve essere una gioia interiore, vissuta, manifesta, elevata a distintivo della vita e del pensiero cattolico. E la gioia di un sicuro orientamento di principi, di strutture e di direttive, che vantano una splendida storia, ricca di personalità, di istituzioni, di letteratura, di scienza e di arte. E la gioia che deve allontanare l’indifferenza, il rispetto umano, ogni complesso di inferiorità. Nessuno più del cattolico si trova in vista di verità e fatti mirabili e divini, i quali non servono davvero a metterlo in ginocchio davanti alle realtà di questo povero mondo. E’ la gioia, che proviene dalla promessa di Gesu: Se rimarrete fedeli alla mia parola, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi.1 Gioia, quindi, che ci fa sperare dal trionfo della verità la piena liberazione dalle tenebre dell’ignoranza, delle perverse ideologie, delle insidiose propagande di falsi maestri e di falsi fratelli; dalle menzogne e dalle calunnie; dalle persecuzioni antireligiose e dalle tiran­nidi; dalla paura dell’opinione pubblica e dall’incanto dello stolido ottimismo; dalla suggestione del progresso e dalla venerazione della tecnica; da tutti i messianismi e sottoprodotti di messianismi, quali le false o incaute aperture, autonomie e irenismi.
2. CONSAPEVOLEZZA.
Questo consapevole e fedele possesso della verità suscita coraggio ed entusiasmo e supera le indecorosità, le menomazioni, il decadimento, la meschinità, il ridi­colo: cose che uccidono la libertà e la dignità neces­sarie per il compimento del proprio dovere. Giustamente fu osservato che i complessi di infe­riorità fanno diventare più o meno traditori del proprio dovere. "Chi ha Cristo, la sua Grazia, la sua presenza, la sua fecondità, la sua provvidenza, la sua Croce, il suo Sacrificio, le sue promesse e va a chiedere o ad invidiare qualcosa ad altri, o a mettersi in concorrenza con altri su divaricate vie, prima di essere un errabondo dalla verità, dalla disciplina, dalla convenienza, è essen­zialmente un povero sciocco". Il cattolico, appunto perché cattolico, deve avere la coscienza di essere con Cnisto non ai margini della storia, ma al centro; e come cattolico deve essere con­sapevole di non avere nulla da invidiare agli altri, proprio come l’uomo non ha nulla da invidiare agli esseri di lui inferiori. Egli nella verità posseduta ha un titolo fondamen­tale, sopra tutti, di vocazione a farsi guida morale del prossimo nel difficile cammino della vita ovunque e comunque si esplichi.
3. FEDE.
La fede, infatti, « è il vertice divino a cui ascende la nostra intelligenza, è il raggiante diadema che Dio pose sulla nostra fronte, è la pienezza spirituale che viene a colmare le nostre deficenze; è lo sconfinamento, nello spazio, dei nostri limiti intellettuali, energia som­ma innervata nel nostro spirito, travalicamento di fron­tiere ed effusione dell’umanità in Dio... La fede è rap­porto fra l’umana intelligenza e l’infinito, è assunzione in Dio per partecipare ai misteri della sua conoscenza, è cifrario per intendere lingue ineffabili, è spazio fra la terra e il cielo dove avvengono i nostri colloqui con l’Altissimo... E orecchio, nell’anima, aperto ad intendere i segreti del cielo; o forse, meglio, è organo che comu­nica il potere e il diritto di assistere ai consigli di Dio. E ne ascolta le parole; quelle poderose parole che creano o governano il mondo, che fanno sorgere la Chiesa e la spingono per le vie dell’universo. Ma va anche più in là, perché riesce ad udire perfino il fremito della parola inespressa, increata, abissale, che Dio mormora a Se; il racconto che in lingue inaudite egli fa delle sue opere, la canzone che si canta su melodie inarri­vabili... Però la parola di Dio, che la fede sorprende ed ode, è anche lucente e vivida, come una fiamma. Ora, se la parola ha bisogno di un’orecchio per essere intesa; la luce, ad essere veduta, ha bisogno in­vece di un occhio; e la fede è l’occhio. II mondo della fede non è solo un’armonia sonora; è insieme uno spet­tacolo magnifico. La fede, è vero, non ci apre ancora la visione, perché la visione è dei cieli, e suppone nelle creature la luce della gloria. Ma la fede acquista, prepara e già, quasi, annunzia la luce e quindi la visione. E come l’aurora che imbianca il cielo, prima del sole... Ancora, possiamo giustamente dire che la fede è mano che afferra e domina; piede vigoroso e audace che avanza per un infinito cammino senza stancarsi, che scala sicuro le vette aeree, o, piuttosto, ala aperta negli spazi, possente ala che ascende vertiginosa, che si libra tnanquilla nell’inaccessibile azzurro. Il cattolico, pertanto, deve sentire tutta la gioia di vivere in questo mondo della fede, da cui diramano le radici degli esseri che si affondano in Dio, come in terreno fecondo e da cui rampolla la vita, sgorga e risale ogni linfa. Egli sarà lieto perché in questo mondo della fede tutto è solido, pieno e sicuro; è l'Amen concorde di tutte le parti; è l’affermazione assoluta che dura perenne, immortale. Baciato dal sole della fede, come insegna l’Apostolo, contempla beato, al di là delle cose visibili, quelle che non si vedono. EgIi sa che quanto appare alla vita è destinato a finire, mentre quanto si vela nell’ombra è imperituro. (4) Raccomandiamo, pertanto, la pratica dell’esercizio di questo primo dovere verso la verità: sentirsene fortunati possessori e goderne. E stato sapientemente detto: "Sono convinto che l’esercizio, per sé gratissimo, di questo spirituale dovere, se fosse meglio praticato nelle nostre scuole, meglio celebrato nelle nostre feste, meglio rispecchiato nei no­stri libri, meglio tradotto nelle nostre conversazioni fa­miliari, avrebbe una grande efficacia pedagogica ed apo­logetica, risparmierebbe tante crisi spirituali e darebbe a noi cattolici un’esperienza più piena e genuina della nostra vocazione cristiana". (5)
II. - CONSERVARE LA VERITÀ.
Secondo dovere verso la verità conosciuta è saperla conservare " nonostante i limiti con cui è concesso di possederla ed esporla, e nonostante le vicende, a cui va soggetto il nostro spirito. Non sempre la stella della certezza scintilla sui nostri passi. Ma dovrebbe bastare d’averla una volta veduta per proseguire nella via da essa indicata. Noi abbiamo fame di certezza, special­mente in alcuni periodi della nostra vita, negli anni giovanili soprattutto, mentre non sempre ci è dato di sperimentare questo carisma della verità, che è la cer­tezza; e ciò specialmente a riguardo di quella verità che deriva la sua certezza, non dall’evidenza intrinseca, ma dall’autorità e dal gioco stupendo, ma delicato delle nostre facoltà spirituali superiori, e che si chiama la fede. Essa ha i suoi travagli, i suoi momenti difficili, le sue severe esigenze. Bisogna saper approfittare della certezza in altri momenti goduta, della testimonianza interiore che la verità della fede ha forse per qualche solo istante, come in un lampo felice, provato, per per­severare nel cammino indicato da quel passeggero ba­gliore... Bisogna non rifiutare ciò che abbiamo una volta conosciuto essere vero. Bisogna essere fedeli alla fede. E’ tutto qui il segreto per non venir meno a questo dovere di saper conservare la verità: essere fedeli alla fede.
1. UMILTA’ E UBBIDIENZA.
Cosa importa questa fedeltà? La continuazione del sì filiale, detto a Dio e alle verità da Dio rivelate non solo con fiducia e tenerezza ma ancora con l’umile disposizione che Dio possa invadere, dominare e dirigere la nostra vita. Ciò importa un doppio sacrificio: di umiltà che riconosce i limiti della propria intelligenza; di ubbidienza a Dio ritenuto padrone e regolatore della propria vita. Si tratta di non venir meno ad una decisione che impegna tutto l’uomo e per tutta la vita. Decisione tanto più difficile in quanto è data nella oscurità. Credendo, viaggiamo verso le cose che non si vedono; (7) se qualcosa vediamo, è attraverso un specchio, in enigma e parzialmente; (8) la parola di Dio, cui prestiamo attenzione, è lucerna che fa luce in luogo oscuro, finora che non spunti il giorno. Direbbe S. Francesco di Sales: "Dio propone alla nostra anima le verità tra oscurità e tenebre, in modo che non le vediamo, ma solo le intravvediamo. E’ come quando la terra è coperta di nebbia e non possiamo vedere il sole; vediamo soltanto un po’ di chiaro dala parte dov’è sicché lo vediamo, per così dire, senza vederlo" (10) E’ facile che ci assalga la tentazione di far ritenere il proprio sì come un salto nel buio ed un rischio contrario alla sapienza e prudenza umana. Gioverà, pertanto, ritornare spesso su quei motivi che ci hanno fatto vedere e constatare che bisogna credere; l’uomo "non enim crederet, nisi videret ea esse credenda". (11) Il nostro atto di fede si fonda sull’accertata esistenza e autorità di Dio rivelante e perciò non è un rischio, anche se compiuto nell’oscurità, ma una operazione garantita al cento per cento. E’ in atto, però, soprannaturale, che non si può compiere senza l’aiuto divino; quell’aiuto che Iddio dà a tutti e che non dobbiamo lasciare andar perduto. Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio (12); Oggi se udite la sua voce, non vogliate indurire i vostrl cuori; (13) Vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno con Abramo e Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli; e i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove sarà pianto e stridori di denti. (14)
2. ANCHE VERSO LA CHIESA.
Ma non basta l’intervento di Dio. E’ necessario ancora l’intervento della Chiesa docente, custode e maestra per divino mandato della divina Rivelazione. La fede, pertanto, domanda atti di umiltà e di sottomissione anche verso l’insegnamento di uomini, perché bisogna fermamente ritenere quanta, rispetto alla divina rivelazione, viene proposto dal Papa e dai Vescovi uniti con lui. Il loro insegnamento è norma sicura al credere. II sicuro possesso e la integrale conservazione della verità, mediante la fede, si fonda non in ma privata rivelazione, né nel libero esame della pubblica rivelazione, ma nella pubblica rivelazione, proposta autoritativamente dalla Chiesa docente. Il Papa ed i Vescovi uniti con lui sono preservati dall’errore religioso in grazia dell’assistenza dello Spi­rito Santo; ed è in forza di questa divina assistenza che essi hanno sempre applicato due principi fondamen­tali e vigilato attentamente sulla conservazione del de­posito della fede: prima, con gli Apostoli è finito il parlare ufficiale di Dio; secondo, se qualche rivelazione privata ci sara, è cosa che interessa e obbliga chi la riceve; essa in nessun caso sarà contraria alla rivelazione pubblica e in nessun modo sarà necessaria per la sal­vezza dei fedeli.
"Applicando il primo pnincipio, la Chiesa ci ha via via liberato dagli errori, che tentavano di prendere piede. O Timoteo, ha incominciato S. Paolo, custodisci il de­posito ed evita la novità. (15) Nove, sed non nova (16) si continuò a dire poi: esposizione nuova, adatta, aggiornata, sì: cose nuove no. Quad semper, quad ubique, quad ab omnibus: vale, è buono, in casa cattolica, quello che viene insegnato da sempre, dappertutto e da tutti. Viene Aria, viene Pelagio, viene Lutero, viene Giansenio, tutti con dottrine contrarie a quella dei vec­chi. Con due parole la Chiesa li serve: novità niente, "nihil innovetur!". Alla stessa maniera, essa dà il ben servito a coloro che, trovando insufficiente e incompleta la rivelazione attuale, ne preannunciano una futura, più completa. Sono tra questi, i seguaci di Gioacchino da Fiore, che aspettavano l’epoca dello Spirito Santo; essi sembrano rinascere nei millenaristi di oggi ed in certi patiti di pentecostalismo sentimentale, come Fogazzaro, che nel Santo e in Leila sembrava auspicare un cristia­nesimo basato su principi più alti, come Oriani, che in “Rivolta ideale “, si chiedeva, se non fossimo alla vigilia di una nuova rivelazione, come quel caro e strano uomo di Papini, che nelle “Lettere di Celestina VI "presenta un soffio nuovo dello Spirito Santo, che aliti sulla Chiesa e in “Dante viva” vede nel veltro nien­temeno che lo Spirito Santo inviato a castigare la Chiesa ed a sostituirla con una nuova!" (17)
3. TRIPLICE POSIZIONE DELLA CHIESA.
Applicando il secondo pnincipio, la Chiesa prende una triplice posizione davanti ad asserite apparizioni e rivelazioni: alle volte è posizione di riserbo: la Chiesa tace, lasciando liberamente discutere ai teologi, medici e storici. Altra volta la Chiesa prende in atteggiamento di disapprovazione: più tenue se viene espressa con la formula "non consta della soprannaturalità dei fatti"; più forte, se espressa con la frase "consta della non soprannaturalità dei fatti". Infine si dà il caso, non molto frequente, che la Chiesa approvi o dia segni di favore, come per i fatti di Lourdes e Fatima.
4. LE NOSTRE POSIZIONI.
Quali le nostre posizioni di fronte alla triplice po­sizione della Chiesa? La Chiesa tace? C’è piena libertà di credere o no. Però tenere presente:
- che le visioni autentiche sono rarissime, mentre i visionari, e più ancora le visionarie, s’incontrano a iosa;
- che un fatto fin che si può spiegare natural­mente, non è bene farlo passare come soprannaturale;
- che l’interesse morboso allo straordinario denota creduloneria più che sana religiosità;
- che c’è il dovere del rispetto verso chi, usando del suo buon diritto, non ammette questa o quella rivelazione privata a fatto straordinario. La Chiesa disapprova o condanna? Esiste l’obbligo di prestare ubbidienza non solo esterna, ma anche in­terna intellettuale.
La Chiesa dà segni di favore? Vanno tenute pre­senti queste considerazioni:
- L’approvazione di una rivelazione privata im­porta solo che tale rivelazione non contiene nulla in contrasto con la fede ed i buoni costumi e che, rispetto alla verità dei fatti, essi hanno una credibilità umana, cioé tanto sono credibili, quanto storicamente o scienti­ficamente provati.
Si capisce che l’irridere i fatti, dopo l’esame e l’approvazione della Chiesa, costituirebbe una colpa di presunzione e irriverenza verso la Chiesa stessa.
- Possono coesistere con i fatti soprannaturali dei fatti patologici; constatati questi, non ne segue che siano falsi quelli; come pure approvati i fatti sopran­naturali non ne segue che siano approvati i fatti patologici.
- Da una apparizione o rivelazione approvata nel senso detto, si deve ritenere che i fedeli possano trarre benefici spirituali, sia pure di secondaria importanza perché i benefici di importanza primaria provengono dalla rivelazione ufficiale: quella contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.
5. SEMPRE CON LA CHIESA.
La Chiesa è sempre attenta alla custodia del de­posito della Rivelazione. Ed è per questo che segue con particolare vigilanza tutto il mondo delle tecniche diffusive delle idee, sollecita ad incoraggiare le buone manifestazioni, come pure pronta a condannare ogni af­fermazione contraria alla verità. Per questo la Chiesa difende il suo inalienabile diritto nel campo educativo: diritto di reclamare che, in quelle scuole dove si accolgono i suoi figli, i pro­grammi, i testi, i docenti, e tutta l’impostazione scola­stica nulla abbiano in contrasto con la fede cattolica; diritto di aprire essa stessa scuole, alle quali tutti pos­sano effettivamente accedere come accedono alle scuole statali, senza nuovi oneri. II dovere, pertanto, di conservare la verità cono­sciuta ci impone di restare con la Chiesa e di sentire con la Chiesa, in uno spirito di profonda umiltà, di filiale fiducia in Dio e di personale corrispondenza alla grazia necessaria per non venir meno nella fede.
III. - APPROFONDIRE LA VERITÀ.
Conservare la verità non basta. E doveroso ancora studiarla ed approfondirla. Scriveva S. Agostino ad un cristiano appena istruito nella religione: "Io esorto la tua fede a desiderare di intendere. Devi aver la passione di comprendere. Chi possiede la fede, e poi non si cura di conoscere, e non sente in sé il tormento di conoscere ciò che, pure, ha incominciato a credere, dimostra di non sapere a che conduca la fede". (18) L’apostolo S. Paolo paragona la fede ad un inizio di verità che deve svilupparsi e ci esorta a crescere nella scienza di Dio: Crescentes in scientia Dei.(19) La verità è feconda ed inesauribile. Giustamente fu detto: «Possederla costituisce dovere di ulteriore ricerca. Possederla apre il colloquio spirituale, suscita fervore interiore... La verità è luce che genera nuova luce: in lumine tuo videbimus lumen - nella tua luce, dice il Salmo, vedremo altra luce.(20) Si classifica qui, perciò, l’obbligo d’un continuo studio della verità della fede e d’uno sviluppo sempre nuovo e progressivo della cultura cattolica. (21) II discorso potrebbe farsi molto lungo. Basterà accennare all’obbligo che incombe ai semplici fedeli di studiare la verità ed alla missione della Chiesa di atten­dere allo sviluppo sempre aggiornato della cultura cat­tolica.
1. LA VERITA’ VA STUDIATA.
E’ chiaro che il credente non può esser pago dei primi elementi della fede, avuti negli anni dell’infanzia. Lo abbiamo dimostrato nella lettera pastorale dello scorso anno. La fede si nutre e cresce ricevendo sufficiente ali­mento di pensiero e di studio. Ma come va fatto questo studio? Rispondo subito: integralmente, precisamente, uf­ficialmente, permanentemente.
2. INTEGRALMENTE.
Deve raggiungere tutto quel complesso di verità, che esplicitamente si devono credere come di necessità di mezzo e di precetto. Non basta approfondire un dato aspetto della verità religiosa, ignorando altri aspetti pure obbligatori. Giudice poi di questo necessario, integrale appro­fondimento non è il singolo fedele, ma la Chiesa.
3. PRECISAMENTE.
Lo studio deve essere fatto senza inesattezze ed errori. Perciò un cristiano non può dirsi sufficientemente e sicuramente istruito per il solo fatto che segue certe rubriche religioso-morali dei rotocalchi o di altra stampa, alle volte addirittura anticlericale o peggio ancora. Spesso certe risposte a certe affermazioni sano errate e quasi sempre incomplete. Riteniamo in gravissimo pericolo per la fede, la consultazione di problemi religioso-morali fatta a profa­ni, veri orecchianti in materia religiosa-morale. Gravissima è la responsabilità che certi scrittori, magari sedicenti cattolici, si assumono sentenziando, con superficialità ed incompletezza, su argomenti religioso-­morali: essi perpetrano il più grave dei delitti, la defor­mazione delle coscienze. Dobbiamo, pure, raccomandare a quanti promuo­vono convegni su questioni a fatti del giorno, cineforum, circoli di cultura religiosa, ecc., di disporre le cose in modo che ciò che viene fatto per approfondire la verità non sia causa di confusione o addirittura di errori. Valga anche per questo l’adagio: "Bonum ex in­tegra causa, malum autem ex quocumque defectu". Riteniamo, infine, di dichiarare il nostro disappun­to per il continuo proporre, da parte anche di certa stampa cattolica, alcune questioni delicate che vanno meglio trattate, più che in pubblico, caso per caso, con la massima prudenza e dal proprio direttore di coscienza.
4. UFFICIALMENTE.
Quale è l’insegnamento uffciale della Chiesa? E’ l’insegnamento del Papa e dei Vescovi ed ogni insegnamento impartito per autorizzazione del Papa e dei Vescovi. Molte e svariate sono le forme autorizzate di inse­gnamento da parte della Chiesa docente. Quelle più ordinarie, a cui possono e debbono ac­cedere, fatte le dovute eccezioni, tutti i fedeli, sono le varie forme d’insegnamento religioso parrocchiale. Mae­stri ne sono i sacerdoti. A meno che con sicurezza, pre­cisione e completezza non si arrivi per altra via ufficiale alla conoscenza religiosa aggiornata e corrispondente al proprio stato (ciò che è relativamente di pochi), resta l’obbligo per tutti di frequentare l’insegnamento parroc­chiale della religione. A questo obbligo con sicurezza il fedele soddisfa, se nei giorni di festa interviene alla lezione di Santo Cate­chismo, tenuta dal proprio parroco o da chi per lui. Trascurare per cattiva volantà l’obbligo della ne­cessaria istruzione religiosa è cadere nell’ignoranza col­pevole delle verità della fede: mettersi, cioè, in uno stato di vita, che diventa sorgente di tante colpe, delle quali per l’ignoranza voluta si è colpevoli in causa. E’ questa, purtroppo, la condizione di tanti cristia­ni! Mentre non mancano i mezzi per istruirsi, essi volutamente li tnascurano con danno immenso della loro fede e con pericolo grave di perdizione, abbassando il tono cristiano della vita, che si impoverisce sempre più di opere di bene e si rende sempre più meritevole di con­danna.
5. PERMANENTEMENTE.
Quello di studiare ed approfondire la fede non è un dovere solo degli anni d’infanzia e della giovinezza. E’ un dovere che ci accompagna per tutta la vita e tanto è più urgente, quanto più crescono le responsabilità, le cognizioni profane, le difficoltà, gli immancabili proble­mi e crisi e vicende, che domandano ai nostri spiriti la necessità di essere bene fondati e radicati nella fede. I sacerdoti, i parroci ed i confessori specialmente, considerino una dei loro più gravi doveri pastorali il tenere desta, viva ed operante la coscienza dei fedeli per il compimento di questo obbligo di studiare la religione e di crescere proporzionatamente nella scienza di Dio. La Chiesa col suo Magistero autentico e attraverso gli strumenti del suo Magistero, i padri, i teologi e le scuole, ha atteso senza sosta nei secoli infallibilmente ed indefettibilmente allo sviluppo sempre nuovo e progres­sivo della cultura cattolica. Oggi, più che mai, in Chiesa, mediante le commis­sioni preparatorie del Concilio Ecumenico Vaticano II è tutta intenta ad approfondire quegli aspetti della verità, che sono più richiesti in questo momento della storia e che la celebrazione del Concilio farà risplendere in questo mondo progredito sotto l’aspetto tecnico, ma piut­tosto in decadenza sotto l’aspetto filosofico, religioso e morale. Possiamo noi portare il nostro contributo a questo stupendo lavoro di illuminazione? Lo possiamo con la preghiera fervente, con l’inte­ressamento filiale, con la più docile apertura d’animo alle direttive di Santa Madre Chiesa, col renderci conto teologicamente di questo soffio animatore dello Spirito Santo, che assiste ed illumina e vivifica la Chiesa di oggi per i problemi della storia odierna e futura. Lodiamo tutte le iniziative sante in Città e Diocesi per illuminare i fedeli sul grande avvenimento del Con­cilio Ecumenico e per farsi utile strumento della Chiesa allo sviluppo sempre nuovo e progressivo della cultura cattolica: tali sono le nostre riviste, i convegni promos­si dall’Azione Cattolica, specialmente dai movimenti ed unioni professionali, i collegi universitari, lo studio teologico del Santo ed altre ancora. Ne ningraziamo pubblicamente tutti i solerti e sa­pienti promotori e ci auguriamo che essi trovino piena corrispondenza da parte di quelle categorie di persone, per le quali le predette provvidenziali iniziative sono sorte.
IV. - VIVERE COERENTI ALLA VERITÀ.
1. IN OGNI ASPETTO DELLA VITA.
Le verità della fede non devono essere avulse dalla vita. E' vero che esse devono servire direttamente alla conoscenza, all’amore e al servizio di Dio. Però, se le verità della fede riguardano direttamen­te il campo religioso, devono pure proiettare la loro in­fluenza su tutta la vita e così diventare principio infor­matore del pensiero e dell’azione. La religione cristiana, infatti, indirizzando gli uomini alla vita eterna, offre il migliore ordinamento pensabile per la vita terrena. Quando le verità religiose sono vissute, concorrono a stimolare, animare e perfezionare le azioni umane; a dare ad esse sicurezza e controllo; a ridurre le naturali debolezze. Le verità religiose non offrono un sistema econo­mico o politico. Esse lasciano agli uomini la libertà di usare le loro risorse intellettuali e volitive in diverse maniere. Però qualsiasi sistema economico o politico non potrà andar bene, se non sarà in armonia alle norme su­preme che vengono dalle verità religiose. Anzi nessuno potrà avere vero vantaggio, se non ispirandosi alle me­desime.
2. ONORARE LA VERITÀ.
Vogliamo fare onore alla verità? Conserviamo perfetta coerenza ai principi cristiani nelle vane responsabilità, in cui ciascuno di noi si trova obbligato a farvi onore. Vediamo di comprendere sempre meglio e sempre meglio rispettano l’estensione dei nostri doveri alla vita vissuta, professando la fede con coraggio, con resistenza e, quando occorra, anche con sacrificio. «Onorare la verità è invito ad essere di esempio luminoso in tutti i settori della vita individuale, familiare, professionale e sociale. La verità ci rende liberi; essa nobilita chi la professa apertamente e senza rispetti umani. Perché, dunque, scendere ad accomodamenti con la propria coscienza, accettando compromessi stridenti con la vita e la pratica cristiana, quando invece solo chi ha la verità dovrebbe essere convinto di avere con sé la luce, che dissipa ogni tenebra e la forza trascinatrice, che può trasportare il mondo? Non è colpevole soltanto chi deliberatamente sfigura la verità, ma lo è altrettanto chi per timore di non apparire completo e moderno, la tradisce con l’ambiguità del suo atteggiamento. Onorare, dunque, la verità con la fermezza, il coraggio, la consa­pevolezza di chi possiede forti convincimenti ». (22)
3. FARE LA VERITÀ.
E continua il Santo Padre: "E, infine, fare la verità. Essa è luce, nella quale deve immergersi tutta la persona e che dà il tono alle singole azioni della vita. Essa è la carità che impegna all’esercizio dell’apostolato della verità, per diffondere la conoscenza, per difendere i diritti, per formare le anime - specialmente quelle aperte e generose della gioventù - a lasciarsene impre­gnare fin nelle intime fibre dell’animo". (23)

Padova, 15 febbraio 1961.
(Lettera Pastorale 1961, Tip. Antoniana, Padova).

1 Gv. 8, 31-32. 2 Card. G. Siri, I complessi di infeniorità, Uff. Cat. Dioc., 1958, Genova.
3 Mons. GAY, Vita e virtù cristiane, Ed. Gregoriana, vol. I, pp. 174-179, passim. 4 2 Cor. 4, 18.
5 Card. G.B. MONTINI, Omelia, Epifania 1961.. 6 Ivi.
7 2 Cor. 4, 18. 8 1 Cor. 13, 12.
9 2 Pt. 1, 19. 10 S. FRANCESCO DI SALES, Teotimo, I, 2, c. 14.
11 Summa Th., 2a 2ae, q. 1, a. 4, ad 2. 12 2 Cor. 6, 1.
13 Sal. 94, 8; Ebr. 3, 7-8. 14 Mt. 8, 11-12.
15 1 Tim. 6, 20. 16 S. VINCENZO LIR., Common.
17 Mons. ALBINO LUCIANI, Credere, 1960. 18 S. AGOSTINO, Epistola 120 ad Consent.
19 Col. 1, 10. 20 Sal. 35, 10.
21 Card. G.B. MONTINI, I. c. 22 GIOVANNI XXIII, Radiomessaggio natalizio, 1960. 23 Ivi.